Diminuire l’assorbimento di colesterolo.
L’assorbimento del colesterolo alimentare avviene a livello dell’intestino tenue, soprattutto nel duodeno e nel digiuno, tratti prossimali e intermedi di questo segmento di tubo digerente.
Dei 300 mg di colesterolo che introducono approssimativamente ogni giorno con gli alimenti, ne è assorbito soltanto il 50%.
Tale percentuale varia in misura indicativa riguardo alle riserve di colesterolo; per le leggi omeostatiche, infatti, l’assorbimento enterico è tanto inferiore quanto più abbondante sono le riserve di colesterolo dell’organismo, e viceversa.
La quota di colesterolo proveniente dagli alimenti, a livello del duodeno si associa quella racchiusa nella bile, pari a circa 1.000 mg il giorno. Pertanto, se la matematica non è un’opinione, l’organismo assorbe circa 650 mg di colesterolo al giorno (il 50% di 1.300), mentre la quota rimanente è eliminata con le feci.
La quasi totalità dei trigliceridi/acidi grassi circolanti deriva dall’assorbimento alimentare; il colesterolo introdotto con gli alimenti rappresenta invece soltanto il 20-30% del colesterolo ematico, mentre la rimanente percentuale proviene dalla produzione endogena da parte del fegato.
Anche in questo caso l’entità della sintesi epatica dipende dall’apporto alimentare: tanto più questo è consistente, tanto minore è la produzione endogena, e viceversa.
In linea di massima, si stima che l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale non possa superare il grammo al giorno.
Anche se le percentuali appena esposte possono variare sensibilmente da individuo a individuo, è chiaro come il colesterolo alimentare influenza in misura modesta i livelli di colesterolemia.
Infatti, oltre al già citato limite fisiologico di assorbimento, l’aumento del colesterolo nel sangue, conseguente agli alti apporti alimentari, determina un’inibizione dell’enzima 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA reduttasi (HMG-CoA reduttasi) necessario alla sua sintesi endogena; di conseguenza, esiste un sistema omeostatico in grado di adeguare la sintesi endogena all’assorbimento intestinale.
Semplificando il tutto; in condizioni di deficit di colesterolo, l’organismo risponde incrementandone l’assorbimento e la sintesi endogena, e viceversa.
Negli alimenti, il colesterolo è presente sia in forma libera sia in esterificata, ovverosia legato a un acido grasso. A livello intestinale, tale legame è scisso da un’esterasi presente nel succo pancreatico, poiché il solo colesterolo libero può essere efficacemente assorbito dalla mucosa intestinale.
Grazie all’intervento della bile, il colesterolo libero è emulsionato in micelle, goccioline lipoproteiche ricche di fosfolipidi, acidi grassi, sali biliari e mono gliceridi.
Il colesterolo micellare può quindi attraversare passivamente la fase acquosa a contatto con le membrane cellulari degli enteroliti, al cui interno viene in parte esterificato per merito dell’enzima acil-colesterolo-acil-transferasi (ACAT2) e incorporato nei chilomicroni.
Questi aggregati lipoproteici sono quindi convogliati nel circolo linfatico e da qui a quello sanguigno, che li trasporta al fegato dove sono processati e distribuiti ai vari tessuti.
Una parte del colesterolo assorbito dalla mucosa enterica non è incorporata nei chilomicroni (processo piuttosto lento), ma escreta dall’enterocita nel lume intestinale, quindi allontanata con le feci. Tale percentuale è nettamente elevata nel caso dei fitosteroli.
La controparte vegetale del colesterolo, che ricordiamo, essere concentrata negli alimenti animali e assente in frutta e verdura, è rappresentata dagli steroli vegetali o fitosteroli.
Queste sostanze, presenti nella dieta in concentrazioni simili al colesterolo, sono tuttavia assorbite in percentuali nettamente inferiori, nell’ordine del 2% (un eccessivo assorbimento sta alla base di una malattia nota come Beta-sitosterolemia).
Nella mucosa intestinale, il colesterolo compete con i fitosteroli per l’uptake da parte degli enterociti; di conseguenza, maggiore è la percentuale di fitosteroli nella dieta, minore è l’assorbimento intestinale di colesterolo.
Tale strategia, concretizzata nell’assunzione d’integratori a base di steroli vegetali, è utilizzata per diminuire i livelli ematici di colesterolo in presenza d’ipercolesterolemia, con tutti i limiti legati da un lato al rischio di un eccessivo assorbimento di fitosteroli in soggetti predisposti, e dall’altro allo scarso impatto del colesterolo alimentare sui livelli plasmatici.
Anche la fibra alimentare, specialmente quella solubile, contribuisce a ridurre l’assorbimento intestinale di colesterolo, attraverso la formazione di un gel che incorpora vari nutrienti diminuendo e rallentando l’assorbimento di sali biliari e colesterolo.
Un farmaco chiamato ezetimibe agisce ostacolando l’assorbimento di colesterolo, mentre il principio attivo cole tiramina inibiscono leggermente le capacità di assorbimento del colesterolo impedendo quello di acidi biliari.
Molto importante è la limitazione dietetica degli zuccheri e dei grassi saturi, che hanno un impatto equivalente, se non addirittura superiore al colesterolo, sulle concentrazioni ematiche di questo lipide.
Infatti, gli acidi grassi saturi e gli zuccheri aumentano la disponibilità di acetil-coA (intermedio comune dell’ossidazione dei carboidrati e dei lipidi) necessario alla sintesi di colesterolo a livello delle cellule epatiche.
Di conseguenza, alla presenza d’ipercolesterolemia si consiglia di limitare gli acidi grassi saturi a percentuali inferiori al 7% dell’energia introdotta, riducendo il più possibile l’apporto di acidi grassi trans e limitando quello di colesterolo a non più di 300 mg al giorno.
Tale risultato si ottiene preferendo le carni magre e le fonti proteiche vegetali, preferendo il latte scremato e limitando il consumo dei suoi derivati più grassi, ma anche minimizzando l’introito di lipidi parzialmente idrogenati presenti in molte margarine e prodotti confezionati (snack dolci e salati, e prodotti da forno in genere).
Allo stesso tempo è importante minimizzare l’introito di bevande e prodotti alimentari addizionati di zucchero.